Tuesday, November 25, 2014

Tre letture

Cari amici,
Siccome i postumi del mio incidente di moto del 14 ottobre si protraggono oltre il previsto, vi racconto alcune cose e vorrei condividere con voi alcune letture. Abbandonato Mike Blueberry e Blake & Mortimer delle prime settimane di incidente, sto leggendo tre libri contemporaneamente. Tre libri descrivono un micro sistema no?. Il primo è Lucrezio "La natura delle cose". Sono arrivato alla mia età e non l'avevo letto, e Lucrezio è in effetti un buco nero (chi è con me a lezione) mi capisce. Lucrezio è un Must, uno ogni tanto fa un balzo e dice e che caspita ma guarda questo qui, si arrabbia si incavola combatte per il suo universo, lui crea un universo che è coerente per lui e ce lo trasmette. È una possente costruzione. Poi sto leggendo Recalcati "Un'ora di lezione cambia la vita" suggerito su FB da Antonino Di Raimo. Per me il suggerimento è fondamentale perché Antonino ha condiviso con me tante diverse posizioni dal 2004 ad oggi. Recalcati è un professore di psicologia e descrive con spessore tante cose dell'insegnamento. Ma per farla breve parliamo solo della centralità della parola. L'avevo ben capito quando venendo dallo straricco ETHZ andai nello strapovero Mozambico. Io ero lo stesso e i miei alunni erano gli stessi perché il vero insegnamento passa dalla parola tutto il resto non conta più del 5 % come teorizzai da qualche parte. Capii questo nel 1995, insegnavo dal 1984, chi mi ha oggi pensi a questo tempo, ma gli sia leggero perché ogni volta è nuovo, ogni volta si ricomincia. Tornando a Recalcati, ogni angolo trovo conferme e ragioni, e immagino che chi abbia incontrato anche un solo insegnante nella vita, pure. Infine Carlo Rovelli "Che cosa è la scienza". Rovelli si appassiona ad Anassimandro... Come dire che io so' pazzo per Caravaggio e van Gogh (a proposito sto preparandovi un regalo per Natale) che c'entra Anassimandro con il lavoro di un fisico teorico esperto di gravità quantistica? Beh c'entra perché le nostre eccentriche passioni sono sistemiche! Sono sistemiche! Mica uno ama Anassimandro a caso.. A Rovelli gli fa sistema crea la sua miscela! A me che lo leggo mi piace perché so già la fine (avendo letto il suo mirabile "La realtà non è come ci appare"). E poi guardo il mondo con Anassimandro capisco la rivoluzione che ha fatto e da lui ripasso a Lucrezio e all'ora di lezione che cambia la vita. Forse anche una poesia o un testo può cambiare la vita, forse. Una lezione invece certamente si!

Architettura siciliana

Questa è una lettera aperta a Vincenzo Latina e a Luigi PP

Non sono d'accordo. Non è Siza la chiave di una tendenza massiva,  tendenzialmente scultorea e mono materica dell'architettura siciliana. La chiave è il matrimonio tra l'imprinting greco e Gregotti, non Siza. Gregotti insegna a Palermo, e lì influenza una serie di giovani, Gregotti fa ponti con diverse culture nel mediterraneo trovando chiavi meno "poetiche" di quelle di Rossi, ma molto più praticabili e diciamolo in quella fase interessanti, in un certo senso progressive, parliamo degli anni dal '65 al 1990 ca. Tra l'altro in Portogallo, Gregotti era ben più importante di Siza in una fase. Mica ci siamo scordati il grande centro di Belém a Lisbona, vero?. Dire quindi che l'architettura siciliana è siziana è quasi un'offesa o una riduzione inaccettabile, Luigi. Gregotti influenza moltissimo Pasquale Culotta.. Che siciliano cresce tra la rocca, la campagna, il mare e l'infanzia greca delle rovine e dei camminamenti rotti e asimmetrici. Pasquale trova una declinazione bella dei temi gregottiani con i suoi propri della sua infanzia perduta e ricercata e  diffonde questo sentire con le sue opere insieme a Bibi Leone e poi nella sua scuola a Palermo in centinaia e centinaia di allievi e poi in Marcello Panzarella anche con la rivista. Ora alcuni come Collová riportano Siza in Sicilia che a sua volte assorbe e ricombina i temi gregottiani e quelli della stessa scuola e sentire siciliano a  quelli di Rossi, abbandonando il suo aaltesimo, per diventare il Pritzker.. Okey, ma visto che il Pritzker lo ha preso che so Murcutt, io lo do invece a Pasquale, alla memoria. Luigi poi tu dici..  deve essere anti siziana l'architettura in Sicilia, viva la Cannizzo. Bene, se fosse così, ma tu invece usi il trucchetto della lista in cui ci sono un bel poco di oscillazioni sulla linea diciamo meccanicistica della Cannizzo. La cosa che colpisce chiunque veda questa lista è che manca l'architetto Siracusano medaglia d'oro alla triennale. Emanuele Piccardo te lo fa notare e tu non dici ..  Non l'ho messo perché siziano (plausibile, entro il tuo ragionamento) ma Non l'ho messo pecché ha fatto naa cosa brutta! Ma scherziamo? Ripensando alla lista non è che vuoi con te le armate di invidiosissimi colleghi? Personalmente lo so che è alla moda e popolare parlare male di Vincenzo, ma lo trovo ridicolo e provinciale come dire che certa architettura siciliana è siziana.

ampio dibattito su FB

X Samantha

X Samantha

Siccome il cielo è la chiave della terra, siamo iper felici che sta volando nel cosmo la prima astronauta italiana: Samantha. Samantha Cristoforetti che ha la faccia e il corpo forte e deciso che a noi fa pensare tante storie di campi italiani. Ecco come Samantha è arrivata lassù. Circa 40mila anni fa uomini e donne erano già in un futuro meraviglioso. Vivevano circa 29 anni. Stavano nelle grotte la notte e il giorno in delle specie di aie davanti, avevano il fuoco: una incredibile comodità! Gli uomini partivano a caccia anche per giorni. Avevano imparato a darsi ordini chiari precisi non ambigui: in fila indiana, a cerchio, spaventalo. Le donne stavano in gruppo, facevano delle pelli abiti, avevano imparato a conservare il cibo, e usare la terra anche per colorare e parlavano in orizzontale, a rete. Abbellivano le loro case. Pensavano agli uomini lontani e ai pericoli e dipengevano nelle casegrotte un poco come a Matera (W!), scene propiziatorie ed eroiche.
La notte andavano qualche volta insieme sul cocuzzolo alto sopra la grotta a guardare le stelle. Insieme parlavano guardavano sospiravano. Poi una di loro vide che le stelle si muovevano, guarda disse Si muovono le stelle mica sono ferme si muovono....ma dai disse un'altra tu sogni..tu sogni.
Questa progenitrice di Samantha invece pensò no! si muovono si muovono.. E tornò una notte con un pezzetto di legno e il fuoco e tracciò sulla terra quei movimenti. E a poco a poco ne traccio di più. Ne studiò di più. Insegnò questo a sua figlia e la figlia alla figlia della figlia per 20 generazioni. Ed ecco ad un certo punto una altra progenitrice di Samantha (ormai uomini e donne avevano anche capanne di paglia e le donne avevano imparato a coltivare) insomma questa progenitrice disse: " oddio oddio oddio oddio o cielo o cielo! Ho scoperto una stella che non si muove!!" Terrificante incredibile scoperta! Una crisi terribile!!! Ebbene quella singola scoperta forse è stato il passaggio più diretto ,il vero salto che porta a Samantha di oggi che lassù sta e chissà se ricorda. Ma ogni alba è nuova Samantha, altre ali fuggirannno dalle paglie della cova come disse un uomo delle nostre terre.



Saturday, November 22, 2014

Funzione critica


Giuseppe Pagano (1)

In una fase della mia vita ho fatto il critico, anche se part time e in coabitazione. Infatti scrivevo (dietro compenso) la rubrica "Critica di architettura": la rivista era "Costruire" ed ero stato invitato dal direttore Leonardo Fiori a collaborare con tre cartelle. Condividevo l’incarico con Franco Purini, Pippo Ciorra e altri che scrivevano però più di rado (2). Non mi ero mai considerato sino ad allora un critico, ma un architetto, poi uno studioso e alla fine un docente. Ma ero diventato co-titolare di una rubrica e non potevo nascondermi e non lo posso fare neanche ora e devo affrontare la domanda su ragioni e destini della critica di architettura (3).
Dopo la morte di Bruno Zevi ero stato nominato dall’editore Testo&immagine, responsabile di una serie di libri che si chiamava “Gli Architetti”. Ne curai una trentina: volevo libri attenti ai ferri del mestiere degli architetti.  (4) Ad una scrittura letteraria centrata sul giudizio estetico, volevo sostituire una scrittura precisa, analitica, attenta ad una “sceneggiatura delle scelte concrete”. Era questa una espressione di Benevolo che Francesco Tentori aveva inserita nella prefazione al mio libro Giuseppe Terragni Vita e opere (5) definendolo “uno dei migliori testi sull’architettura contemporanea italiana”, immagino anche per questa caratteristica.
Per scrivere i miei contributi nella rubrica di Critica di architettura di “Costruire” creai così una struttura particolare. Usavo ogni volta una parola chiave (per esempio "in-between" o "spazio-sistema" o "affioramenti" o "cheapscape") per illustrare perché l’opera di Tschumi o di Domenig, di Hadid o Gehry oggetto della rubrica fosse pregnante di un modo di fare conoscibile e trasmissibile e allo stesso tempo perché quella parola chiave condensasse una visione del mondo culturale, estetica se non politica che si incarnava in una architettura ed in un fare specifico.
Era un approccio, come dicevamo, molto sui generis almeno per come era normalmente intesa la critica di architettura.
Negli stessi anni feci un intervento a Reggio Calabria per ricordare Zevi poco dopo la scomparsa con il titolo “La storia è critica e la critica storia". Zevi aveva pubblicato per quaranta anni e più una pagina su “L'Espresso” che incarnava quello che era comunemente intesa quale “critica di architettura”. Zevi favoriva una decisa tendenza e contemporaneamente si schierava "contro". Apparteneva a quella generazione dell' “anti”, formatasi nell’immediato dopoguerra che si riconosceva “contro” il fascismo, la barbarie, l'olocausto. Per Zevi, se l'architettura aveva un sentore accademico, simmetrico, classicheggiante, si doveva sempre attaccare perché le “scelte del linguaggio” e quelle etico-politiche erano per lui collegate.
In questo contesto la critica era un anello di congiunzione con l'idea di centralismo democratico e ne diventava una sorta di braccio operativo. Esisteva un vertice che dettava la linea (nel fronte funzionalista la figura di Le Corbusier e la struttura dei Ciam, in quello organico la figura di Wright e la scuola di Taliesin) e una serie di quadri di vertice diffondevano gli aspetti fondanti della linea culturale e operativa. Il compito era dato ai critici militanti, (che a volte erano anche dei grandi narratori di vicende del passato da Nikolaus Pevsner a Sigfried Giedion a Leonardo Benevolo allo stesso Zevi). “Storia” in questo contesto era (questo il titolo della conferenza appunto) era l'altra faccia della critica.
Manfredo Tafuri userebbe parole più piene, ma non è un caso che al suo scrivere sul crollo delle ideologie corrisponda il suo rifiuto tassativo di definirsi un critico e il calarsi in un amore per la storia che (almeno nelle premesse) voleva essere tecnico filologico per una ricerca "della" cosa in sé.
Oggi Il centralismo democratico è scomparso, od ha cambiato solo forma? Credo che a questa domanda ciascuno possa rispondere da sé. Voglio credere che sia scomparso e con esso la necessità di una linea della critica, di una critica come diffusione di un sistema di valori e di ideologie precostituite cui aderire o meno. Rimane in architettura oggi in Italia una critica di questo tipo che secondo me è marginale e un poco superficiale. Quella che, riprendendo alcuni aspetti della critica d'arte, scrive ora di questo ora di quello in una ottica di servizio informativo, quando va bene, ma spesso non riuscendo a soffocare l'odore del retro bottega.

***

Credo e pratico in definitiva da una parte una “scrittura di architettura” e dall’altra una “critica del progetto”, che sono due cose diverse. La critica del progetto ha una finalità concreta, per far vedere una strada che noi pensiamo migliore, più ricca, più fertile, più densa di significati. Nella critica del progetto di architettura entriamo in campo noi stessi per quello che siamo e per quello che non siamo riusciti ad essere e vorremmo essere. Si esplica in primis con gli studenti e a volte con i colleghi più giovani quando ce la chiedono. In ambito internazionale si esplica nelle Jury che non a caso sono considerate il momento più alto della riflessione sull'architettura. Ne ho fatte con Zaha Hadid, con Ben Van Berkel con Peter Eisenman. La jury è un momento alto di confronto delle idee. Questo tipo di critica sul progetto e nel progetto, ormai avviene nel mio caso raramente su carta stampata. L’ho fatta in una decina di numeri del supplemento “On&Off” (7) che curavo con il gruppo “Nitro” dentro “L’architetto Italiano”. Terminata quella esperienza la pratico, credere o no, sul mio Blog e sul mio Facebook. Poi credo, come dicevo, nella scrittura di architettura. Smontate le ideologie, senza una linea o una teoria da diffondere, rimangono però le crisi davanti a noi e l'idea, per me centrale, che queste crisi le dobbiamo cercare di affrontare e forse raccontare attraverso la storia di quest’ultimo secolo con l'occhio alle crisi che gli architetti hanno cercato di affrontare con lo sguardo dritto al futuro piuttosto che piegato al passato. (8)
Le responsabilità nel mondo di oggi devono essere sempre più legate ai singoli e non ai sistemi di opinione e ai credi ideologici. E in questa responsabilità dell'individuo ci deve essere, io credo, anche il bisogno di cercare sempre la critica. Cercarla negli altri verso di noi e offrirla come un bene agli altri. Vogliamo instillare l'idea, insomma che più che una critica esista una funzione critica che ciascuno può e deve imparare a coltivare.
antonino saggio


Note

1 Le note sono per comodità del lettore. Esistono link e anche digressioni. Ricordo che molti anni fa tenni una relazione a Porto ad un convegno che si chiamava "Situazione critica". Ecco il link all'audio http://www.arc1.uniroma1.it/saggio/conferenze/storia/aporto.html il testo è solo in portoghese: Escavaçoes no Futuro Relaçao com a Historia em Algunos aspectos da Cultutura arquitectonica Italiana do Século XX, Jornal Arquitectos n. 211, Maggio Giugno 2003 (pp. 48-54). 

2 Ecco gli articoli della rubrica
Critica dell’architettura. Oltre i Confini. Informatica e progettazione 
Costruire, n. 235, Dicembre 2002 (p. 62).
Critica dell’architettura. Due Opere Americane, Architetture antizoning 
Costruire, n. 227, Aprile 2002 (p. 86).
Critica dell’architettura. progetto e informatica. Virtuale ma Concreto
Costruire, n. 219, Settembre 2001 (p. 102).
Critica dell’architettura. Task force per L'architettura
Costruire, n. 215, Aprile 2001 (p. 32).
Critica dell’architettura. NO LIMITS AL PROGETTO
Costruire, n. 210, Novembre 2000 (p. 30).
Critica dell’architettura. Palinsesto Urbano
Costruire, n. 202, Marzo 2000 (p. 36).
Un intellettuale contro. Ricordo di Bruno Zevi
Costruire, n. 201, Febbraio 2000 (p. 21).
Frontiere. Il coraggio di Aprirsi
Costruire, n. 200, Gennaio 2000 (p. 95-98).
Critica dell’architettura. I contenuti dello Slogan
Costruire, n. 198, Novembre 1999 (p. 32-33).
Critica dell’architettura. La Spazio Come Sistema
Costruire, n. 190, Marzo 1999 (p. 28)

Alcuni di questi pezzi sono oggi in rete rieditati da "Arch.it" http://architettura.it/coffeebreak/20001214/


3  Lo scritto è stato richiesto da Franco Purini, quale documento preparatorio da accludere con altri a due giornate sulla Critica di Architettura da tenersi a Roma presso l'accademia di San luca e a Milano. A Roma dovevo coordinare la sessione pomeridiana del Simposio (quella poi tenuta da Achille Bonito Oliva  Vedi). Purtroppo la data fissata del 14 maggio 2014 coincideva con delle conferenze fissate da tempo in Iran. Ho dovuto mio malgrado rinunciare, non credo che questo testo appaia ora da nessuna parte. Eccolo allora in formato elettronico. Come promemoria personale aggiungerei che la lettura successiva alla redazione di questo testo di Un'ora di lezione cambia la vita di Massimo Recalcati mi suggerisce una interpretazione della critica dentro il "vuoto" che deve creare la trasmissione del sapere. Il campo specifico della critica lo possiamo immaginare delimitato da una parte, a sinistra, verso il l'insegnamento, una parte centrale che ha come stella polare il pubblico e una, a destra, verso il mercato e gli affari. Muoversi in questo campo dipende da ciascuno, ma è una impostazione che permette di collocare rapidamente alcuni critici attuali. Dove sta Luigi PP... facile.. Dove sta Ciorra facile, dove sta Molinari facilissimo, dove sta Purini o Saggio facile. Dove stava Zevi facile... Dove stava Tafuri (facilissimo, ma attenzione la domanda è un trabocchetto... ).

http://www.arc1.uniroma1.it/saggio/Architetti/

http://www.arc1.uniroma1.it/saggio/laterza.htm

http://www.arc1.uniroma1.it/saggio/filmati/reggiozevi/reg.html

7 Originale On&Off on line e a cartaceo da qui,  nuova edizione esclusivamente on line da qui

8  Architettura e Modernità Dal Bauhaus a la Rivoluzione informatica, Carocci 2010 http://saggioarchitettura.blogspot.it e gli articoli su L'Architetto
 "Tre chiavi per il futuro" Febbraio 2014
"Nuova generazione Infrastrutture" Aprile 2014
"Infrastrutture Multitasking" Giugno 2014
"Infrastrutture e verde il grande innesto", Settembre 2014
"Amico Tram, per la Mobilità Urbana". Novembre 2014

Friday, November 07, 2014

A proposito delle Ciminiere di Giacomo Leone


In Fb è stata sollecitata in questi giorni una discussione su due importanti opere a Catania. L'intero dibattito anche con i mie interventi sono qui sul Face book di Franco Porto, nell'occasione ho trovato quanto ne scrivevo a Bruno Zevi nell'ormai lontano 1996. Zevi mi rispose dicendo tra l'altro "Quindi decida Leone. Gli ho offerto  un numero speciale  anche doppio se occorre. Non ricordo di aver offerto la stessa cosa neppure a wright (se non per Falling Water)"