Monday, August 05, 2013

Le riunioni alla Testo&Immagine e altro


Ricordo una volta, che siccome mi domandavo come mai un mio pezzo non usciva, scrissi direttamente al nuovo editore della rivista "l'Architettura". Zevi il giorno dopo tuonò: "Stai lontano dai miei editori!". Io invece mi mossi, anima candida, sempre al contrario: feci sempre di tutto per condividerli i miei editori.
In particolare con Luigi mi sforzai di inserirlo nel "sistema" della Testo&Immagine. Prima portandolo a cena con l'allora sconosciuto per lui Vittorio Viggiano, poi in ogni possibile occasione spendendomi per lui e anche per la sua idea di una collana di manuali e molto altro, ovviamente. Il mio ragionamento era: "Siccome questa è una casa editrice piccola, e siccome nel parco di Bruno Zevi non sono tutti grandi autori, se io lo rafforzo con elementi di qualità, tutti ne guadagnano: il pubblico, la casa editrice, la collana."
Come si scoprirà, tutti si, ma non io.

Le riunioni di cui parla Luigi, in cui ci sono tre soggetti equivalenti e litigiosi, descritti con pennellate decise, meritano alcune specifiche. Francamente nel mio caso è come sentirmi dire che sono un blogger.
Nel 1998 avevo inventato una collana su un tema nuovo e rivoluzionario. Avevo deciso, pensandoci una notte, che invece di renderla autonoma sarebbe stato meglio per tutti averla come sezione da me diretta dentro la casa madre della Universale di Architettura.

Questo da una parte, era una "diminutio" del mio lavoro, dall'altra per me era un segno di lealtà scientifica verso Zevi e anche un bel riconoscimento (almeno ai miei occhi) per un me qurantenne. Pochissimi autori avevano avuto il loro nome in copertina accanto a quello di Bruno Zevi. Il fatto che, in particolare,  Portoghesi tradì Zevi e che io invece fui sempre leale, è una mia piccola felicità. Pensate che ero già riuscito nell’impresa titanica di fare il libro che doveva fare fin dal 1952 Zevi stesso su Terragni (1) , e che questo mio libro invece di rompere i rapporti come in genere accade in questi casi, li aveva rafforzati, nonostante la decisa autonomia di giudizio e di impostazione che vi avevo messo dentro.

Mi sembrava dunque che avere  “la Rivoluzione Informatica” dentro l’Universale fosse una cosa bella, importante: era giusto lavorare per una squadra e rafforzare un progetto comune.
Fui premiato dall'aver ideato questa mia diminutio, quando nel maggio del 1999 l'editore Birkhäuser volle fare una collana internazionale basata non su tutta la collana di Zevi, ma solo sulla mia. Quindi in tutto il mondo, "la Rivoluzione Informatica" (2) divenne la mia collana ("The IT Revolution in Architecture") e divenni in pochi anni uno dei punti di riferimento internazionale del rinnovamento del pensiero architettonico. Ripeto, internazionale visto che oltre all'inglese, ovviamente molto popolare, ci fu anche il cinese e qualche volume fu tradotto  anche in coreano e tedesco. In italiano chi c'era ricorda. Alcuni si sono presi di recente la pena di censurare l’intera esperienza, come se non esistesse o non fosse esistita.

Quindi chi scrive era già, alla scomparsa di Zevi, a capo di una sezione della Universale e direttore di una collana internazionale. Avevo un pagamento simbolico, ma è chiaro che questo filone tirava molto e il fatto che si facessero ben sei libri l'anno in Inglese era una risorsa, anche economica perché Birkhauser apri un ampio fronte di libri a pagamento in questo fronte grazie all’accredito scientifico e alla popolarità della mia collana (che invece pagava gli autori!).

Prima della morte di Zevi, vi erano stati alcuni suoi cenni ma soprattutto alcuni di Vittorio Viggiano, che davano per scontato,  che sarei stato io a dirigere l'Universale alla sua scomparsa. Non è che ci volesse una raccomandazione ! Ero l'autore di maggior successo (avevo scritto su invito di Zevi i due best seller sui due architetti più importanti - Eisenman (3) e Gehry (4),  e soprattutto già dirigevo una collana trovandone una perfetta sinergia tra tutti gli attori coinvolti.

Alla scomparsa di Zevi invece avvenne tutto il contrario. Adachiara Zevi che praticamente non mi conosceva, iniziò una guerra feroce e cattivissima nei miei confronti. Una guerra del tutto irrazionale e che può solo affondare  nei rapporti tra padre e figli.
In questo contesto si alleò, con la redattrice capo Maria Spina e con Luigi, screditando ogni possibilità di mia direzione, che sarebbe stata ai suoi occhi, una vera tregenda.
Potevo certo lasciare il tutto con una alzata di spalle, ma avevo paura di rompere la vita della collana di informatica, in cui tra l'altro avevo almeno dieci autori sotto contratto sotto la mia responsabilità. Ma l'amarezza mia fu tale, legata alla perdita di Zevi che era per me un punto di riferimento costante e di cui non sono uno dei tanti cui scriveva visto che la nostra corrispondenza era continua e ha moltissime lettere,  insomma l'amarezza fu tale che da una parte quasi mi ammalai di una strana tosse che non passava mai e dall'altra persi ogni lucidità e spirito combattivo.

Alla fine dissi all'editore, "D'accordo se è così facciamo con lo stesso modello della Rivoluzione informatica, creiamo una serie di sezioni e facciamole dirigere a persone vicine culturalmente alla storia della collana. E allora suggerii io stesso all'editore la struttura. Massimo Locci che aveva seguito negli anni Ottanta con Zevi una grande opera SEI in tre volumi sui singoli capolavori italiani, era ideale per "i Capolavori", Luigi che era anche un lettore vorace "gli Scritti", Adachiara "il Design" e Lorenzo Spagnoli, che stimavo dai tempi della sua rivista "Housing" e che aveva scritto una bellissimo libro su Berlino "le Guide". Suggerii per "i Grandi eventi" Luca Galofaro, che mi sembrava molto adatto a seguire anche l'attualità, il libri di "Varia" avrebbero avuto ciascuno un curatore. In questa struttura io avrei conservato ovviamente la mia stessa collana "la Rivoluzione Informatica in Architettura" e avrei avuto la direzione de "gli Architetti". 
Ricordo le proteste di Adachiara che pur di non affidarmi "gli Architetti" si presentò con una serie di nomi del suo circolo familiare e religioso, tra l'altro completamente estranei alla storia culturale di Zevi. Fu veramente tristissimo. Ma con questa tecnica lei riorganizzò la rivista in cui ovviamente io non fui neanche per un attimo preso in considerazione.
Vittorio Viggiano invece tenne duro sullo schema che gli avevo disegnato e disse: " No! Saggio ha gli Architetti." Quindi di fatto ebbi il controllo di circa il 70% delle uscite della collana, anche se con questo schema io stesso avevo suggerito la promozione a curatore di sezione persone che non lo erano certo ai tempi di Zevi. E ripeto io non avevo il mio ruolo perché raccomandato, ma perché conclamato come il più bravo ed intelligente, nonostante i veti. Ci si stupisce ogni tanto di come mai sia così "diverso" sia all'università che nel lavoro scientifico: "Non è raccomandato", forse, è una parte della semplice risposta e meno male che ce ne sono altri, ovviamente, di non raccomandati. Tanti altri anche dentro l'Università.

Attraverso questa struttura si ricominciò: io feci moltisssimi libri di Informatica e molti de "gli Architetti" (5) e questa struttura fu in grado di passare anche alla Marsilio che resse anche se solo per un poco e quasi esclusivamente con "gli Architetti". La Rivoluzione informatica nel 2005 passò invece felicemente con Edilstampa grazie a Giuseppe Nannerini che credette molto in questa collana che ha ormai computi 15 anni e 35 volumi. Trentacinque.

Credo che Adachiara e Luigi ad un certo punto dissero all'editore: "Ma come! Saggio ha due collane e perché noi no?" Ed ebbero allora ciascuno un'altra sezione, di modesto impatto certo, ma formalmente potevano dire "Abbiamo due sezioni pure noi, come Saggio!".

Si capisce ora il clima delle riunioni dal mio punto di vista. Io  mi sentivo, forse immeritatamente, un continuatore di un progetto di rinnovamento culturale, e dirigevo una piccola corazzata internazionale e avevo molti autori anche giovani che volevo fare crescere e per la verità ci riuscii (anche se a volte mi domando che fanno, che dicono, che pensano di queste cose che oggi scriviamo anche sulla loro storia e sulla fatica che abbiamo fatto per tenere aperto uno spazio vitale anche per loro). Adachiara mi odiava apertamente e con Luigi avevamo già rotto (in maniera dolorosa per me)  proprio a causa di una collana che avevo strutturato e pianificata nei dettagli, e che poi a cose fatte l'editore disse: "Dai Nino, falla anche con Luigi", Dissi no, dopo l’esperienza di This is Tomorrow, e Luigi se la prese tutta per sé, così.. allegramente. Che poi lui con la sua ironia dica che non ebbe successo è una ben magra soddisfazione.

Il libro di Persico, (che ha una Prefazione a cui non ha lavorato per più di mezza giornata,  scritta con uno pseudomino per superare i veti e coperto a nostra insaputa dall'editore e da Marro), oltre alla parodossale e plastica rappresentazione del nostro diverso modo di vivere e vedere l'Universale di Architettura ebbe anche l'esito di tappare il libro su Edoardo Persico che io avevo commissionato a Francesco Tentori (mica l'ultimo!)  (e che usciì, infatti dopo con la Clean, perché nel frattempo la casa editrice aveva chiuso). L'episodio rivela il fatto che la  straordinaria "qualità precisione" di Luigi ha anche dei lati negativi.

L'ho detto quando, una volta, esasperato per il suo scherzare su un mio pezzo in cui spiegavo l’importanza del controllo delle staffe per prevenire il terremoto, le persi io e parlai del suo muoversi come il surfare con un ebbrezza di velocità devastando quanto c'è attorno. Correre spesso sull’orlo del plagio, almeno nei miei confronti, è come evitare di arrivare alla diffamazione negli articoli che ospita, andarci molto vicino non assolve e amareggia chi ne è vittima; In Tre Parole per il prossimo futuro  per esempio che cosa ci voleva a ricordare almeno che io tenni una conferenza all’InArch che si chiamava Sette Parole parole per domani (7) Lui c’era e lo colpi profondamente tanto è vero che Persico con cui avevo iniziato soffermandomi a lungo sul perché e il per come la sua “sostanza di cose sperata” fosse la chiave di molte cose divenne in seguito un suo Leit motif. Lo dico, in questo contesto, ma veramente, alla fine non fa nulla.

Scrivo tutto questo infatti non per avere alcun tipo di rivalsa, sia chiaro. Non mi importa, anzi in alcuni passi leggo la lontana amicizia e l'affetto reciproco, ma perché a scritto si risponde con scritto, ad impegno con impegno, a lavoro con lavoro. Ad esempio avere inventato questa autobiografia a-scientifica è un fatto, ed è qualcosa di nuovo e di mai visto e anche a me spinge a fare sapere al lettore qualche cosa. Forse è una trappola, per me, ma bisogna rischiare. E poi so che a distanza di tempo, tutto diventa più chiaro. Anche qui oggi, adesso,  credo di dimostrare di non fuggire davanti alle responsabilità, né che io abbia paura dei concorsi, né mai ne ebbi come invece Luigi lascia intendere, anche se solo a me per la verità.

Nell’episodio della serata accesissima su Bilbao io ero il relatore a favore! (Avevo scritto un libro su Gehry) e anche se ero sotto concorso con Purini commissario dissi con chiarezza la mia. Feci capire soprattutto l’altissima professionalità del progetto, la sua capacità di essere iper funzionale, di affrontare in maniera staordinaria il problema delle aree dismesse, la forza della idea di città opposta all’idea tipo-morfologica, e come era stato sviluppato il ruolo dell’informaica nel rendere tutto possibile non tanto come modellazione (una ovvietà) ma come sistema di equazioni indipendenti. 
Ci fu scontro e non me sottrassi certo. Fu tanto intenso che lui che era nel pubblico lo ha addirittura ricordato.

Alla litigata Luigi-Purini fuori dall’inArch in occasione del dibattito sul Corviale, non partecipai è vero, ma non ero affatto sotto concorso! era già finito e l’avevo ovviamente perso (trentasette altri professori associati furono fatti al mio posto nel 1998 grazie alla regia di Guido Canella. Tralascio l’ennesima storia italiana sul fatto che i miei titoli fossero ampiamente superiori la media dei commissari e incomparabili con molti dei vincitori). Non partecipai a quella azzuffata perché io ho sempre avuto una grande stima intellettuale di Franco Purini perché ne ho scritto ripetutamente (8) e anche se criticamente sono lontano dalla sua architettura non se ne può allegramente sottacere il ruolo storico, che è di peso internazionale (ed infatti anche lui è in “Architettura e Modernità” -9 -). La litigata era violenta ed era impossibile mettersi in mezzo senza essere sbranati. Ma a Purini, Luigi dovrebbe riconoscere che lo ha sempre indicato come una voce nel dibattito culturale italiano, e non ha mai fatto il giochetto della censura. 
Non andai oltre Gibellina e non mi presentai a Granmichele non certo perché avessi paura di Portoghesi, ma perché mi ero stufato, vero. Infine; tutto mi si può dire velatamente o no eccetto che io sia un pusillanime. Credo che queste risposte lo dimostrino. 

Dopo anni di assoluto silenzio, parlo di nuovo con Luigi, seppur in questo modo mezzo pubblico e mezzo pivato. E vi spiego, miei cari lettori, un ulteriore livello. Perché a nessuno permetto di suggerire che io sia o sia stato un pusillanime, soprattutto nel mondo universitario.

Due architetti con cui Luigi intesse forti polemiche  sono commissari nel mio nuovo concorso di idoneità 08 D1 prima fascia (10) ) !. Il buon senso consiglierebbe di stare zitto e di non ricordare a nessuno che parecchie cose che Luigi ha fatto sono legate anche a me. Sarebbe meglio insomma fare finta di nulla e lasciare i fatti come stanno “Saggio ha rotto con Prestinenza nel 2000”. Ma mi ripugna l’idea di non rispondere e puntualizzare alcuni aspetti vitali o amarissimi della storia comune, per paura di un concorso. Anche perché di Pippo Ciorra, dai tempi dei suoi libri su Quaroni e soprattutto su Eisenman e dei suoi articoli  “il Manifesto” ho stima. Il fatto che Pippo sia a capo di una importante direzione della Darc è bello per lui. Punto. E’ stato bravo in tutto se l’ha ottenuta e non è cosi facile cambiare le cose quando si hanno compiti di direzione. Io nel dottorato ho fatto solo un poco di quanto speravo. Cherubino Gambardella era con me nel Dottorato e lo conosco da 25 anni. C’è poco da scherzare su di lui: ha una linea di ricerca interessante e fa architettura e critica contemporaneamente e di qualità. Potrebbe darsi che alla fine; se riuscirà a fare il capolavoro, potrebbe finire in una mia storia, non perché lo conosco ma perché se questo suo mediterraneo ibrido partenopeo e stratificato  trova il vettore fulminante sarebbe una cosa interessante per tutti.
Insomma senza rancore, nelle differenze e con il respiro lungo per favore.
Vent'anni fa scrissi un attacco ad un pezzo, che era per me memorabile. E' stato a dormire vent'anni, l'altro giorno mi arriva un libro che lo riprende, lo apre e fa capire quante cose c'erano dentro. E' una soddisfazione. E mi fa piacere metterci la faccia in tutto, soprattutto quando coltivo il lavoro e la passione per il lavoro. Ecco perché ho scelto questa strano autoritratto.



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